Non è una questione di soldi
Partiamo col dire che l’ingrediente principale non sono i fondi stanziati, che pure tanti sono, almeno nell’esperienza di quel Modello Sardegna della Legge 162/98. La Regione, infatti, ha investito nel campo delle politiche sociali attuando proprio dal 1998 la realizzazione dei progetti individualizzati introdotti nella Legge 104/92 dalla Legge 162/98.


E sono tanti perchè sono arrivati, in Sardegna, a ben 170mln di Euro per il 2019 e restano stabili (anzi in leggero aumento nel tempo) indipendentemente dal cambiamento del colore politico delle amministrazioni regionali. Lo ha spiegato in modo approfondito Veronica Asara, Presidente di Sensibilmente Onlus di Olbia, nel corso del workshop sulle Politiche Sociali tenuto nella sessione pomeridiana del Convegno organizzato a Cagliari da Associazione Bambini Cerebrolesi lo scorso 12 Ottobre, dal titolo “Personalizzare, Coprogettare, Includere: la qualità dei servizi sociali e scolastici per le persone con disabilità”. Noi c’eravamo, unica associazione della Calabria.

170 milioni di Euro di Fondo per la Non Autosufficienza di stanziamento regionale (a cui si aggiunge la quota di finanziamento nazionale) non sono briciole. Soprattutto se confrontato con i numeri delle altre regioni, anche più grandi e popolate, in Italia. A cominciare dalla Calabria, ad esempio (solo 43mln, comprensivi di FNA nazionale e stanziati a copertura prioritaria dei servizi standardizzati diurni, residenziali e semiresidenziali). Ma anche dalla Campania, la Toscana, il Veneto, il Piemonte.
Legge 162/98 e modello Sardegna
Il Modello Sardegna insegna. E non da adesso. L’applicazione della normativa relativa ai Progetti personalizzati ha addirittura anticipato ciò che successivamente alla 162/98 è stato previsto nella Legge 328/2000, con specifico riferimento all’art. 14.
Ma tant’è. L’introduzione della Legge 328/2000 ed il suo recepimento da parte delle Regioni con apposite normative (in Calabria la Legge 23/2003) nel migliore dei casi non si è sganciato dalla logica di approccio tipicamente ed esclusivamente sanitario degli interventi, che quindi risultano escludenti per le persone con disabilità. Giampiero Griffo, coordinatore del Comitato Tecnico-Scientifico dell’Osservatorio Nazionale sulla condizione delle persone con disabilità, lo ha spiegato molto bene evidenziando, sempre, il principio del “nulla su di noi, senza di noi”. Qualcosa che ha a che fare con la libertà delle persone con disabilità (figuriamoci di quelle con autismo) e con il loro diritto/dovere ad autodeterminarsi. E Dario Ianes, Docente all’Università di Bolzano, gli ha fatto seguito, ribadendo il principio di equità come prevalente, anzi alternativo, a quello di uguaglianza.
Legge 328/2000. La PA non ci sa fare
L’applicazione della legge 328/2000 è ancora, in alcune Regioni, molto lontana. Perchè prima di tutto non si conosce neanche l’art. 14. Da qualche mese noi di io autentico stiamo affrontando il tema, per le famiglie calabresi. I Comuni, e non solo in Calabria, non sono spesso dotati del servizio di Assistenza Sociale professionale, neanche nei distretti di ambito. Col risultato che, indipendentemente dai fondi disponibili (e qui torniamo alla considerazione iniziale), la spesa non viene effettuata perchè non si conoscono (e quindi non si applicano) le normative. I numeri regionali snocciolati da Daniele Romano, Presidente di Fish Campania, fanno fredda chiarezza sulla situazione. In Calabria la lista dei ricorsi vinti al TAR contro i Comuni inadempienti si sta facendo sempre più lunga. Il grafico la dice lunga sulla capacità di spesa dei Comuni. E, sia chiaro, non c’entra solo la quantità di fondi.
L’esperienze (belle) dal basso. La buona storia delle famiglie
Una infinità di esperienze di business sociale, in Sardegna, che ha realizzato un livello di qualità della vita (personale e personalizzata) per le persone con disabilità altrove inimmaginabile… anche per le disabilità gravi e gravissime. Una infinità di iniziative amministrative partite dalle richieste delle famiglie, dalla vera coprogettazione, dal ruolo attivo che la legge impone alle famiglie (sì, lo vogliamo ripetere) affibbiando loro, e per fortuna, l’unico ruolo di responsabilità nei confronti delle persone con disabilità a loro care.
Sempre Veronica Asara ha tenuto a sottolineare le parole di Cecilia Marchisio, Psicologa e psicoterapeuta, ricercatore in Pedagogia Speciale presso l’Università degli Studi di Torino, autrice del recentissimo “Percorsi di vita e disabilità. Strumenti di coprogettazione“. Cecilia Marchisio infatti scrive che ” Un servizio non è segregante quando ha (…) come interlocutore una porzione di territorio con persone differenti e differenti livelli di funzionamento”. E questo significa che sono le famiglie a dover coprogettare (partendo dal basso, appunto) mettendo al centro il funzionamento delle persone con disabilità. E ancora “(…) qualcuno ritiene che ci siano delle condizioni di disabilità – intellettiva grave, profonda, complessa – in virtù delle quali diviene legittimo privare una persona della sua cittadinanza e della sua libertà. E’ bene dirlo con queste parole e non con altre (…) che finiscano per far apparire una scelta di segregazione coe una ineluttabile necessità terapeutica. Chi ritiene che libertà e gravità siano due concetti inconciliabili è tenuto a dirlo chiaramente e a dichiarare con questo che la prospettiva universalistica indicata dalla Convenzione ONU gli è estranea”.

Vogliamo quindi dire che gli esempi buoni, ottimi esistono. E e noi di io autentico lo facciamo, lo sappiamo, soprattutto per le famiglie calabresi che hanno a che fare con la disabilità e che ancora sono malamente educate dalla pubblica amministrazione ad un approccio esclusivamente terapeutico, spesso fortemente limitante e segregante (ne sia prova il nuovo regolamento della Riforma Welfare della Calabria, che è una opportunità per la parte che riguarda le personalizzazioni…. e che quindi è un lavoro che spetta alle famiglie, partendo appunto dal basso. Altrimenti le disabilità, gli autismi, i nostri figli saranno buoni solo per posti esclusivi in cui consumare le proprie vite.